Leopardi a Bologna

con un saggio di Angelo Fregnani
e lettera a mo' di presentatione di Rolando Damiani
Faenza, F.lli Lega Editori, 2016
pp. 80, ISBN 978-88-7594-122-2, € 10.00

La plaquette, stampata in 500 copie, di cui 150 numerate, raccoglie, preceduti da una lettera-introduzione di Rolando Damiani, tre saggi di Palmieri, i primi tre, e uno, il quarto, di Fregnani: il primo rilegge il soggiorno bolognese del ’25-26 come un’esperienza vissuta all’insegna della conquista di una pienezza di vita; il secondo corregge la datazione ‘vulgata’ della composizione del Frammento apocrifo; il terzo disegna con mano leggera un siparietto in cui insieme con Leopardi sono in scena Vincenzo Monti, la figlia Costanza, il genero Perticari, traendone considerazioni di ordine filologico; il quarto fa luce su un episodio del soggiorno bolognese rimasto sinora indecifrabile. Nell’insieme disegnano un ritratto inedito di Leopardi uomo e intellettuale, sullo sfondo di vicende storiche poco note, se non addirittura rimosse.

Per Leopardi. Documenti, proposte, disattribuzioni

presentazione di Emilio Pasquini
Angelo Longo Editore, 2013
pp. 168, ISBN 978-88-8063-759-2, € 20.00

Chi erano Antonio Strozzi e Luigi Leoni che Leopardi conobbe a Bologna e frequentò poi a Firenze? Chi era il Camerlengo che gli negò la nomina a segretario dell’Accademia bolognese di Belle Arti? Chi il legista che consultò per conto dello Stella? Chi il cardinale bolognese cui non volle portare i saluti raccomandatigli dal conte Monaldo? Durante il soggiorno romano dell’inverno 1831-32 lui e l’amico Ranieri vissero quasi clandestinamente, o scelsero di non frequentare i circoli letterari, dove imperversavano gli antiquari, e frequentarono invece un salotto di gentildonne dilettanti di canto? Nei primi sette capitoli Pantaleo Palmieri, rispondendo a queste e a simili domande, restituisce un volto e una storia a tanti che sembrano semplici comparse nell’Epistolario o nella biografia del Recanatese, e che invece furono tutti segnati dalla sua intelligenza. Ma al centro resta lui, Leopardi, non solitario ma aperto all’amicizia, generoso verso i più giovani, fermo nei suoi convincimenti. Nei rimanenti tre capitoli, messo sull’avviso da un inedito scambio epistolare, Palmieri propone, sostenendola con argomenti di ordine stilistico e tematico, la disattribuzione di due lettere al Manuzzi, e ripropone, rafforzati da evidenze documentarie, i dubbi del Giordani sull’autenticità dell’Epigrafe a Raffaello.

Giacomo Leopardi. Lettere da Bologna

a cura di, insieme con Paolo Rota
Bononia University Press, 2008
pp. 374, ISBN 978-88-7395-356-2, € 40.00

Il 12 o il 13 luglio 1825 Leopardi parte da Recanati per Milano, chiamato dall’editore Stella a dirigere l’edizione completa delle Opere di Cicerone. Fa sosta a Bologna dal 17 al 26 per incontrare gli amici Giordani e Brighenti, trovando la città, come scriveva a Monaldo il 22, «quietissima, allegrissima, ospitalissima». Arrivato a Milano, la capitale del Romanticismo gli si presenta col volto dell’indifferenza, almeno tanto quanto la Bologna roccaforte del classicismo liberale gli si era presentata subito col volto dell’accoglienza benevola. Sicché, lasciata Milano, torna a Bologna e vi dimora stabilmente (salvo i 10 giorni della parentesi ravennete nell’agosto del ’26) dal 29 settembre 1825 al 3 novembre 1826. Vi sosterà ancora dal 26 aprile al 20 giugno 1827, durante il trasferimento a Firenze; e brevemente dal 3 al 9 maggio 1830, tornando a Firenze dopo l’orrenda notte di Recanati. Le 143 lettere scritte da Bologna e gli inserti dalle pagine bolognesi dello Zibaldone che qui si pubblicano, con ampio corredo di tutto quanto serve ad orientare il lettore, documentano una stagione tra le più operose e ricche di relazioni umane e culturali dell’esistenza leopardiana.

Restauri leopardiani. Studi e documenti per l’epistolario

introduzione di Mario Marti
Angelo Longo Editore, 2006
pp. 148, ISBN 978-88-8063-510-7, € 14.00

«È da almeno un quarto di secolo che Pantaleo Palmieri percorre opere e vita di Giacomo Leopardi, centro quasi costante, o per lo meno il più privilegiato, dei suoi interessi di studioso. […] Nelle sue indagini leopardiane, il Palmieri […] ha sempre preferito dar corpo a “fantasmi” bisognosi di concretezza documentata; a chiarire, con l’aiuto degli archivi, minime vicende rimaste magari misteriose o ipotetiche, fugacissimi e trascurati rapporti e incontri; e anche a correggere, con garbo e pazienza, credenze piuttosto confuse e insicure, o evidenti errori trasmessi passivamente, come talora accade, di generazione in generazione. Piccolezze magari, […] che però possono incidere su valutazioni di fondo; e comunque preziosi e sicuri contributi alla conoscenza della verità. […] Dietro tanta concretezza storica, dietro tanto interesse filologico e perfino erudito, s’intravvede sempre, e la si coglie, una sicura conoscenza dell’altro, più noto e prediletto, Leopardi, e un grande amore per la sua straordinaria vicenda di uomo, di pensatore, di poeta. Probabilmente la figura di Leopardi ne esce, per così dire, ancor più umanizzata; di lui, uomo comune fra altri uomini comuni, creature della vita quotidiana.» (Dall’Introduzione di Mario Marti)

I Promessi Sposi nella Romagna e la Romagna nei Promessi Sposi

di Carlo Piancastelli
a cura di, insieme con Paolo Rambelli
Edizioni Il Mulino, 2004
pp. 244, ISBN 978-88-15-10208-9, € 17.50

Se a guidare gli acquisti di Carlo Piancastelli collezionista e bibliofilo era la sua competenza di bibliografo, di erudito, di esperto del Folklore; a orientare la sua attività di studioso era poi, inevitabilmente, la variegata ricchezza del materiale a sua disposizione. Un’attività che per la messe dei documenti e per l’originalità del metodo, aperto a una visione “orizzontale” degli eventi, merita di essere tenuta presente, ancor oggi, non per semplice omaggio alla sua memoria, ma per il suo intrinseco valore. È il caso del saggio “I Promessi Sposi nella Romagna e la Romagna nei Promessi Sposi” (1924), che si ripropone integrato delle postille che Piancastelli vi aggiunse in varie date e occasioni, a tutt’oggi la fonte più attendibile per la conoscenza del classicismo romagnolo di primo Ottocento, cioè di una civiltà letteraria su cui torna ad appuntarsi l’attenzione degli studiosi, per quello che essa ha rappresentato per sé e perché parte imprescindibile di una civiltà letteraria europea.

Carlo Piancastelli e il collezionismo in Italia tra Ottocento e Novecento

a cura di, insieme con Piergiorgio Brigliadori
Edizioni Il Mulino, 2003
pp. 256, ISBN 978-88-15-09569-5, € 19.20

Il fenomeno del collezionismo sul finire dell'Ottocento contribuì, direttamente o indirettamente, al salvataggio e al recupero di una parte consistente del patrimonio archivistico, bibliografico, archeologico e storico del nostro paese. In questo ambito l'opera di Carlo Piancastelli rappresenta un punto di riferimento per le sue ricche raccolte in diversi campi, tra cui si distinguono la biblioteca romagnola e la raccolta di preziosi autografi di tutte le epoche. Questo volume, frutto del convegno dallo stesso titolo tenutosi a Forlì nel novembre del 1998, non solo traccia un approfondito e completo profilo della vita e dell'opera di Carlo Piancastelli, ma descrive attentamente gli ambienti commerciali e culturali nei quali, con passione e con abilità di ricercatore, Piancastelli si mosse nel dar vita a una collezione che egli stesso seppe trasformare in un grande affresco della Romagna, ora conservata presso la Biblioteca comunale di Forlì, tappa imprescindibile per studiosi di varie discipline, dalla Storia della Letteratura, dal Folklore alla Numismatica.

Giosue Carducci “buon leopardiano”

Rubiconda Accademia dei Filopatridi – Accademia dei Benigni, 2002
pp. 96, ISBN N/A

Coi volumi Occasioni romagnole. Dante Giordani Manzoni Leopardi (Modena, Mucchi, 1994) e Leopardi. La lingua degli affetti e altri studi (Cesena, Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2001) Pantaleo Palmieri ha dato un significativo e originale contributo all'esplorazione del versante classicistico della nostra civiltà letteraria. Ora estende l'indagine fino al Carducci, qui studiato in relazione al Leopardi, mito autobiografico e insieme oggetto di studio; a Dino Campana; alla Rubiconia Accademia dei Filopatridi, per la quale Carducci dettò nel 1869 un nuovo statuto, che liberava la vita del sodalizio dalle vecchie ritualità, guadagnandosi così la nomina dapprima a segretario, quindi a presidente e infine, nel 1898, a Presidente Onorario Perpetuo: operazione quest'ultima, che nel mentre sanciva un fatto storico, il riconoscimento cioè del Carducci quale Vate della Terza Italia, o più semplicemente quale poeta e intellettuale che aveva improntato di sé la propria epoca, nel contempo ne proiettava l'immagine fuori dal tempo e dalla storia.
In appendice alcuni “inviti alla lettura”.
Nell'insieme un nuovo capitolo di storia della cultura, sostanziato di fatti e documenti, anche inediti, raccontato in un dettato fermo e trasparente.

Leopardi. La lingua degli affetti e altri studi

Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2001
pp. 176, ISBN 978-88-8312-179-1, € 12.91

Si può esaminare l’Epistolario di Leopardi, uno dei più belli della nostra letteratura, per stabilirne il valore artistico in relazione al “genere”; ma lo si può anche interrogare per meglio comprendere la vicenda intellettuale del poeta nella molteplicità delle relazioni umane e culturali. È quel che fa qui Pantaleo Palmieri, col risultato che, nei primi saggi, i rapporti di Giacomo con la famiglia vengono ricostruiti in termini assai diversi da quelli vulgati, sicché il mobile ritratto dell’uomo e del poeta si arricchisce di nuovo fascino e sicura dignità; mentre i ritratti di Monaldo e di Adelaide e dei fratelli si arricchiscono a loro volta di molteplici sfumature. Negli altri saggi, la personalità del Recanatese è ricollocata entro l’ambito a cui egli volle appartenere: il Classicismo.

Occasioni romagnole

Mucchi Editore, 1994
pp. 244, ISBN 978-88-7000-221-7, € 25.00

Occasioni romagnole si è voluto intitolare il volume, perchè queste pagine pur riguardando alcuni tra i nostri maggiori, o ne privilegiano quegli aspetti dell' opera che, direttamente o indirettamente, conducono in Romagna, o ne documentano e chiariscono i rapporti con esponenti della cultura romagnola; e perchè la ricerca è stata condotta principalmente su carte e documenti che si conservano nelle biblioteche romagnole, avendo a confronto, e conforto, una bibliografia prevalentemente romagnola. Con l'auspicio che dall'insieme di queste pagine, di là dalle singole questioni, talune anche minute, su cui s'è perteso far chiaro, venga un qualche significativo contributo alla conoscenza della civiltà letteraria in terra di Romagna, o almeno una più precisa caratterizzazione storica della Scuola Classica Romagnola, cioè di quel mondo letterario, che già Renato Serra definiva "assai lontano e meno semplice forse e meno insignificante di quanto si voglia credere oggi".

Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni

a cura di, insieme con Carlo Paolazzi
Angelo Longo Editore, 1991
pp. 304, ISBN N/A, € 20.66

Le ragioni storiche che hanno portato il maestro Benvenuto da Imola a farsi ‘lettore degli antichi e dei moderni’ sono da ricercare soprattutto in quella rinascita di interesse per la poesia − e per la cultura in generale − che caratterizza il primo Trecento, con un moto evidente di accelerazione verso la metà del secolo.
Proprio in quegli anni Giovanni Boccaccio a Firenze scriveva che Dante nel suo poema aveva abbandonato il latino e scelto il volgare, perché aveva visto «li liberali studii del tutto abandonati, … e per questo e le divine opere di Virgilio e degli altri solenni poeti non solamente essere in poco pregio divenute, ma quasi da’ più disprezzate» (Trattatello, I red.). Ma trent’anni più tardi, forte dell'esperienza di insegnamento a Bologna e a Ferrara, Benvenuto lanciava un ponte con i successi antichi di Virgilio e di Stazio, osservando che «hodie videmus multos avide concurrere ad audiendum libros istorum, si sit aliquis bene legens et inteligens» (Comentum, IV, 48). Quanto a Dante, al quale Petrarca stesso su sollecitazione di Boccaccio aveva riconosciuto «vulgaris eloquentie palmam» (Fam. XXI 15), Benvenuto nel suo inimitabile latino poteva constatare che la Comedìa «tempore meo non erat quasi in pretio, nuc non calumniam sibi [al poema!] imponi potest per aliquem, quantumcumque plurimi et plurimi conati fuerint sua velle dicta damnare» (cod- Laur. Ashb. 839).
Nella storia, si sa, mutano i gusti e con essi la fortuna dei poeti e dei loro espositori. Dei commenti di Benvenuto ai classici, qualcuno attende ancora di uscire dall'oblio, altri hanno cominciato a farlo nel Convegno 1989 di imola di cui questo volume presenta gli Atti. Perfino il commento a Dante, padrone per un secolo nel campo umanistico, «fu spazzato via dal Comento del Landino» (G. C. Alessio), ritrovando solo nel secondo Ottocento, insieme al suo autore, l'alta considerazione che è dovuta ad entrambi.